14.12.15

Like a rolling stone.

Ancora un po' e avrebbe vomitato anche l'anima.
Sempre ammesso e non concesso che ce l'avesse, un'anima.
Di sicuro stava talmente male, che qualcosa avrebbe vomitato, se il treno non avesse smesso di prendere le curve ad alta velocità. Cosa decisamente improbabile.
Ma almeno per un po', adesso la tratta sarebbe stata diritta. Avrebbe avuto un po' di tregua.
Probabilmente il momento peggiore.
Perché non avrebbe più pensato a quanto stava male, ma a quel buco da cui era appena uscita.
Che poi non era malissimo. O almeno non sempre. Spesso il tanfo di urina di cani e persone era insopportabile persino per lei. E poi c'erano gli spintoni della gente sempre di fretta, che nemmeno chiede scusa quando ti fa quasi cadere per terra. E la puzza di sigarette e di smog era soffocante. Soprattutto in quelle terribili giornate estive.
Però c'erano anche i lati positivi. Vedeva sempre passare tanta gente diversa. I loro sorrisi e le loro lacrime erano uno spettacolo meraviglioso ai suoi occhi. Chiusa lì, in quella vetrina, ad aspettare che qualcuno la scegliesse. La desiderasse tutta per sé, anche se per poche ore.
E poi c'era l'altra metà del suo cielo.
Il bel vichingo.
Che diciamoci la verità, non aveva niente a che spartire con un vero vichingo, lo sapeva benissimo.
Ne aveva visto uno in una serie televisiva e davvero, il suo Vichingo non ci somigliava nemmeno lontanamente. Ma ormai lo chiamava così in cuor suo. E ogni volta che passava lì davanti, e magari si fermava a guardare per qualche secondo lei o le sue colleghe, lei pregava con tutto il cuore che si fermasse e scegliesse lei. Che le sue grandi mani la prendessero per i fianchi, che le sue labbra carnose la baciassero per lunghissimi minuti e che lei potesse perdersi nei suoi bellissimi occhi, blu come una notte luminosa. Ma non l'aveva mai fatto. Non si era mai fermato. E non era stato lui a prenderla, ma un ragazzetto con il risvoltino ai jeans.
Quelli con l'acconciatura assurda che si credono dei modelli, ma sembrano solo dei poveri imbecilli. Di quelli che si danno le arie da uomini vissuti, e invece sono ancora bambini, dentro e fuori. E l'idea di stare con lui l'eccitava più o meno quanto l'idea della prossima curva ad alta velocità.
Ma lui aveva i soldi. E lei non aveva scelta.
E doveva averne pure tanti di soldi, se si poteva permettere di buttarli in quel modo.
L'aveva presa, con le sue mani perfette, di chi non ha mai preso in mano nemmeno una penna e l'aveva fatta salire su quel treno. Per poi abbandonarla subito dopo, distratto da una ragazza tipo modella, talmente magra, che ad abbracciarla troppo forte si rischia di spezzarla a metà.
Ed era rimasta lì. Sola. Alla prima curva, era caduta per terra.
Le sarebbe piaciuto rialzarsi, accomodarsi in uno di quei bei sedili comodi e larghi, ma proprio non ci riusciva. Non ce la faceva. Non poteva.
Stava troppo male.
E non erano solo le curve. Quelle le facevano male al corpo.
Era l'indifferenza che le faceva più male.
La gente continuava a passare davanti a lei, senza battere ciglio.
La ignoravano, come se non esistesse.
Qualcuno aveva addirittura rischiato di inciampare per colpa sua. Ma a parte una parolaccia detta tra i denti, non si era preoccupato di vedere se stesse bene o se avesse bisogno di una mano. Se ne era andato per la sua strada. E l'aveva lasciata lì. Sola.
Non la guardava il ragazzo copertina che l'aveva presa con gli occhi pieni di desiderio, per poi dimenticarla subito.
Non la guardava la nuova fiamma del ragazzo copertina, miss stecchetto con la puzza sotto il naso.
Non la guardava l'avvocato, nella sua camicia perfettamente bianca e strozzata dalla sua perfetta cravatta, con le sue maniche perfettamente stirate e perfettamente chiazzate dal sudore.
E nemmeno la mammina di 50 anni, troppo occupata a farsi i "selfie" sul treno come una quindicenne, per rendersi conto che il suo bambino sta disturbando mezzo vagone con i suoi strilli e le sue corse.
Nessuno.
Nessuno la guardava. Nessuno l'aiutava. Nessuno sembrava accorgersi della sua esistenza, se non per sfoggiare uno sguardo di disapprovazione e sdegno.
E poi arrivò.
Il treno non era ripartito da moltissimo e già si preparava alla prossima curva, quando arrivò.
Il Vichingo.
Lui in persona.
E la paura le prese il cuore. E se anche lui l'avesse ignorata come tutti gli altri?
Ma non lo fece. La prese con delicatezza e gentilezza. L'aiutò a tirarsi su e la mise accanto a lui.
L'avvocato accennò un sorriso tiratissimo, poi tirò fuori il cellulare e chiamò qualcuno che stava per passare un brutto quarto d'ora.
E poi il treno si fermò di nuovo. Ma non era un'altra fermata, era in mezzo al niente circondato dal nulla. La voce dello speaker parlava di un guasto momentaneo che sarebbe stato riparato nel minor tempo possibile.
Un'ottima scusa per il modello di attaccar bottone con l'appendiabiti di lusso.
La mammina invece ne approfittò per farsi un altro "selfie" e postare su facebook tutto il suo sdegno.
Ma a lei andava benissimo così. Avrebbe vissuto qualche minuto in più con il suo Vichingo.
Ed erano passati pochi minuti, o forse erano poche ore, quando lui poggiò di nuovo il suo sguardo su di lei.
E lei lo conosceva bene quello sguardo. Lo sguardo pieno di desiderio e si sentì impazzire dalla gioia.
Le sue grandi mani la presero per i fianchi, le sue labbra carnose la baciarono per lunghissimi minuti e lei si perse nei suoi bellissimi occhi, blu come una notte luminosa.
Lì, davanti a tutti. Incurante dello sguardo disgustato e sprezzante dell'avvocato in camicia bianca e sudata. Incurante dello sguardo stupito della mammina, che probabilmente ne avrebbe scritto subito un post su facebook. Incurante di tutto, lui la fece sua e le fece il dono più grande del mondo.
Finalmente la sua vita aveva avuto un senso.
Qualsiasi cosa sarebbe successa da quel momento in poi, non sarebbe stato importante.
Era felice.
La bottiglietta d'acqua più felice del mondo.

13.12.15

Where is my mind...

"Le storie sono ragnatele collegate filo per filo
 e si segue ogni storia verso il centro
 perché il centro è la sua fine.
Ogni persona è un filo della storia."



Rubo le parole al mio Anansi, Neil Gaiman,
perché non si ha mai una seconda occasione
per fare una buona prima impressione.
Non che ci tenga più di tanto a fare una buona prima impressione.
Non mi dispiacerebbe, ma non è l'obiettivo di questo blog.
E allora qual è?
Semplicemente lasciare che le ragnatele nel mio cervello, vedano la luce del sole.
Che alla luce del sole, magari su una bella foglia rossa e un po' di rugiada,
anche le ragnatele sono bellissime.
È che mi capita, ogni tanto, di avere queste storie nella mente.
Alcune piccole piccole, come un granellino di sabbia.
Altre sono lunghissime, come un arcobaleno.
Alcune sono scure, come la notte.
Altre dolci e soffici come una nuvola di panna montata.
Ma qualsiasi forma o colore abbiano, sono qui nella mia testolina, in cerca di una via di fuga.
E allora... eccola qui.
Il White Noise del mio cervellino caleidoscopico.
Nella speranza che, magari, possano strappare un'emozione a qualcuno.
Anche piccola piccola.
Mi accontento di poco.
Benvenuti a tutti e grazie in anticipo, per il dono prezioso del vostro tempo.